Lettere da Kiev - parte II

Lettera del figlio


Questa notte mi sono svegliato di colpo e ti ho cercato, però non ti ho trovato. Nel buio ho scorto la mamma illuminata da una candela mentre era intenta a cucire qualcosa. Sono trascorsi venti giorni da quando ci siamo separati e non so ancora se tu sia vivo oppure no e questo pensiero mi tiene sveglio. Ci spostiamo continuamente cercando riparo in luoghi dove ci siano altre persone, per non rimanere soli mentre le bombe scoppiano. Nessuno dovrebbe morire da solo. La mamma mi chiede di essere coraggioso, mi ripete sempre che il mio nome lo avete scelto proprio per il suo significato. Ma non è facile. Ho visto tanti bambini come me a terra, immobili e ho sperato che stessero facendo finta, che stessero facendo un gioco. Ho immaginato se tutto questo fosse un gioco, se le bombe che esplodono fossero fuochi d’artificio, come quelli che vedevamo dentro i film e che tu mi spiegavi essere finte. Un enorme gioco dove tutti stiamo partecipando, dove i fucili sparano palline colorate e dove chi viene colpito deve solo sdraiarsi per terra e dormire un poco. L’altro giorno un uomo ha provato a darmi un fucile in mano dicendomi di dover essere pronto. La mamma me lo ha strappato dalle mani e si è arrabbiata con quel signore. A cosa devo essere pronto papà? Mi manca il giocare nel parco, rincorrere la palla e lanciarla agli amici, mi manca la mia vita e tutte le cose che avevo. 



Una mattina, prima che ci mettessimo in cammino, mamma mi ha chiesto di togliermi la maglietta e con una penna ha scritto sulla mia schiena il suo nome, il tuo, il nostro indirizzo e un numero di telefono. La penna che scorreva sulla pelle mi faceva il solletico, allora ho provato nostalgia per tutte le volte che ci lanciavamo sul letto e giocavamo alla lotta e tu mi passavi le dita sotto al collo e sui fianchi fino a quando non mi uscivano le lacrime per le risate e la mia faccia diventava rossa rossa. Ti scrivo e lo stomaco mi brontola. Mangiamo in orari strani, mangiamo poco, a volte di più, quasi sempre una zuppa, pane, cose veloci. Anche gli altri bambini hanno fame. Come mi piacerebbe mangiare una di quelle merendine al cioccolato che tu e la mamma mi compravate sempre. Sotto le macerie, mentre ci rifugiavamo in un capannone, ho visto un involucro di plastica impolverato proprio di quelle che mi piacevano tanto. 

Mi è venuto da piangere ma mi sono trattenuto. Quando mamma non mi vede però piango, un poco, giusto per sfogarmi un poco, poi però riprendo ad essere coraggioso. Tutti quelli che incontro mi dicono di non perdere la speranza, che tutto questo presto finirà. Io ci credo, voglio crederci. Cosa resterà però di quello che penso, che pensiamo, degli esseri umani? Come si può cancellare tutto questo dolore? Come si può credere che non succederà di nuovo, che gli uomini imparino da tutto questo così da non ripeterlo? Tu e la mamma mi avete educato alla gentilezza e al rispetto ed io cerco di non dimenticarlo. Soprattutto adesso servono la gentilezza e il rispetto. 

Magari saprò proprio io educare un giorno gli altri e allora la guerra davvero non si ripeterà più. Adesso devo salutarti, la mamma mi sta chiamando, stanno suonando le sirene, dobbiamo spostarci ancora. Spero di abbracciarti presto, allora saprò che tutto sarà finalmente finito.

Tuo figlio

Andriy


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