Lettere da Kiev - parte I

Lettera del padre

La notte, in quei rari momenti in cui riesco ad addormentarmi, sogno spesso quella copertina rossa che ero solito rimboccarti bene, per evitare che il freddo da fuori potesse raggiungere il tuo corpo delicato. Poi mi sveglio, di soprassalto, smarrito, e mi chiedo dove tu possa essere, con quali pensieri, sotto quali cieli. Le notti sono costellate da sogni brevi e febbricitanti, mille risvegli repentini, chilometri di corse a perdifiato prima di poter di nuovo posare il capo sopra qualche pietra. Mentre scappavo, l’altro giorno, o forse era ieri? Le giornate sono tutte uguali quando si fugge, tra le macerie di un palazzo ho visto una bambola ancora intatta. L’ho raccolta e l’ho guardata, le ho pettinato i capelli con le dita, pulito il viso con la mia saliva, aggiustato il vestito stropicciato stirandolo con il palmo della mia mano e poi l’ho stretta a me. Ho pianto pensando che potessi essere tu, figlio mio. Tuo padre piange, piange per questa guerra, per la nostra città assediata, per i palazzi che crollano, per i morti che appestano le strade. Avrei voluto che tu non dovessi mai vivere tutto questo, avresti dovuto solamente continuare ad andare a scuola, frequentare gli amici, correre, giocare. Che meraviglia vederti giocare! Cerco di ricordare il suono della tua risata mentre rincorri la palla nel parco Taras Sevcenko, la tua risata come antidoto al frastuono delle bombe, al rantolo della sirena che segnala il coprifuoco. Ti chiedo di essere coraggioso figlio mio, non ti abbattere. Il tuo nome, Andriy, significa proprio questo: coraggioso. Tua madre ed io te lo abbiamo dato proprio perché tu potessi sostenere momenti come quelli che stiamo vivendo. E tu sei la persona più coraggiosa che conosca, come quella volta che ti perdesti tra la folla durante la festa dell’indipendenza. Rimanesti fermo ad aspettare che ti ritrovassimo senza versare nemmeno una lacrima. Avevi solo quattro anni. 
È un privilegio osservare il tempo scorrere, te ne renderai conto quando sarai un uomo. Questi giorni, invece, sono tutti uguali, tutti infiniti, tutti potenzialmente l’ultimo. L’altra sera, dopo esserci rifugiati in un capannone nei pressi della periferia ovest, stanchi e provati dalla fame, una donna ci ha trovati e donato, nascosti dentro una scatola da scarpe, dei deruny, quelle frittelle di patate che piacciono tanto anche a te. Mi si è stretto il cuore mangiandole, per un attimo, seppur brevissimo, mi sono sentito a casa, la nostra casa, la nostra casa sicura. Avresti mai detto che tuo padre avrebbe combattuto una guerra, imbracciato un fucile, sparato ad altri uomini? E invece eccomi qua, insieme ad altri soldati improvvisati, a difendere il nostro paese, a difendere te. Perdonami per questa calligrafia così stentata, sicuramente mi diresti che tu sapresti scrivere meglio e con maggior precisione, ma il freddo mi impedisce di mantenere ferma la penna, il vento e la pioggia mi serrano gli occhi. Sei al caldo tu? Dimmi di si, figlio mio! Quando ti ho visto salire in machina e allontanarti veloce ho sperato che fosse tutto una finzione, come in un film o come una di quelle candid camera della televisione, mi sono guardato intorno per cercare le telecamere nascoste ma ho trovato soltanto altri uomini con ben strette le proprie armi. 

Ho sempre desiderato poterti consegnare un mondo migliore, un mondo dove le atrocità dei nostri padri fossero state cancellate dal desiderio di ogni uomo di poter condurre la propria vita nel rispetto di quella altrui. Ho desiderato educarti proprio a quel rispetto, ti ho educato alla libertà, non dimenticarlo mai. Educare significa trarre quanto di più profondo esiste nelle persone e utilizzarlo per la propria emancipazione, il proprio riscatto, la propria evoluzione, altrimenti diventa dittatura, diseducazione, guerra. Cosa ci rende migliori dai nostri oppressori? È il rimanere umani. Educare le coscienze al dialogo, tieniti stretto questo pensiero figlio mio. Non smettere di aver fiducia nel genere umano Andriy, confida sempre nella fierezza del tuo popolo. Sono morti e continuano a morire molti uomini e molte donne, bambini come te e anche più piccoli. Ma non per questo devi smettere di credere che il mondo possa essere l’opposto di quanto sta mostrando. Non sei solo, sei un popolo intero.

Adesso è giunto il tempo di salutarci, spero che questa mia lettera possa raggiungerti ovunque tu sia. Se la vita me lo permetterà sarò io stesso a consegnartela quando un giorno ci rincontreremo e capirai quanto forte è l’amore che provo per te; se invece dovessero trovarmela addosso, quando spoglieranno il mio corpo freddo e rigido, allora saprai che mi hai accompagnato fino all’ultimo mio respiro.
Chiudi gli occhi bambino mio e dormi, il fumo si avvicina, un’altra esplosione illumina la notte, i proiettili scintillano come stelle nella volta scura ed io, io chiedo solo di vedere un’altra alba ancora.
Tuo padre.
Anatoly 

Commenti