Adolescenti tra crisi della scuola e ideazione suicidaria

La crisi provocata dal Coronavirus ha avuto e continua ad avere un forte impatto sul benessere di tutti i giovani. Forse se ne parla sempre troppo poco ma essere adolescenti al tempo del coronavirus è una cosa molto difficile. Per tutti è come essere proiettati in un loop temporale continuo dove le giornate trascorrono uguali. I ragazzi hanno dovuto rinunciare a ciò che di più importante hanno: il contatto con l’altro. E il discorso di stare chiusi per evitare il contagio è valso fino ad un certo punto, perdendo di significato e lasciando sempre più spazio ad una dimensione di noia, insofferenza, apatia. Ragazzi che fino a poco tempo prima facevano della brillantezza sociale il proprio punto di forza si sono ritrovati a vivere una “dimensione celata”, a rifugiarsi ancora di più all’interno dei social network, degli smartphone, dando all’esperienza digitale e virtuale il potere di rappresentarli all’esterno. Per altri, per i ragazzi più fragili, chiudersi in casa, nella propria camera, riversarsi sui videogiochi, ha comportato quasi una sorta di arresto della crescita che sarà molto difficile riattivare una volta terminata questa emergenza.
Anche la scuola, che per molti è sempre stata uno scoglio, attraverso la didattica a distanza, ha amplificato sentimenti di inadeguatezza e inaccessibilità costringendo molti ragazzi a chiudersi ancora di più in se stessi e a ritenersi inadatti all’apprendimento. Siamo di fronte ad un “abbandono scolastico camuffato”, nascosto dietro le telecamere spente dei monitor e microfoni non funzionanti. È per questo che appare necessario creare ponti con le istituzioni, riflettere sul ruolo educativo che queste ultime devono esercitare per svolgere una funzione proattiva e a sostegno dei ragazzi.
Nonostante il lockdown vero e proprio sia alle spalle, le continue restrizioni, il distanziamento fisico, le scuole a mezzo servizio, i luoghi di intrattenimento chiusi e il coprifuoco, è stato riscontrato tra gli adolescenti un aumento dei casi di disturbi dell’umore, degli stati depressivi e delle liti intrafamiliari. Le crisi depressive sono spesso state accompagnate da episodi di autolesionismo ma ciò che spaventa di più sono gli aumenti dei ragazzi che presentano ideazione suicidaria e i tentativi di suicidio. 
Dopo la prima fase di Covid si è registrato un aumento del 30% dei ricoveri presso i reparti di neuropsichiatria infantile. Sottovalutare l’impatto del Covid-19 tra i più giovani rischia di trasformare un’emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo in una crisi dei diritti dei bambini e degli adolescenti. Come anche sottolineato da Stefano Vicari dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, in questo periodo di isolamento forzato, il non avere un confronto reale con i coetanei ha portato i ragazzi a non aver mediazione rispetto alle loro pulsioni e ai loro pensieri e a vivere moltissimo la noia. La noia ha il potere di rinforzare alcuni pensieri e circuiti viziosi, facilitando l’umore depresso. Su questo la scuola in quanto luogo di socialità dà al ragazzo la possibilità di incontrare un altro, di raccontare quel che gli passa per la testa, c’è una mediazione tra il suo pensiero interiore e la realtà. I compagni e gli insegnanti diventano un ammortizzatore di alcuni pensieri negativi e angoscianti.
Ridurre la scuola al semplice svolgimento della didattica rischia di snaturare il concetto stesso di scuola. Decenni di ricerche in pedagogia hanno sottolineato come la scuola, per un bambino, per un adolescente, non è tanto apprendimento di materie e interrogazioni o compiti in classe, quanto, piuttosto, occasione unica per sperimentare relazioni, riconoscere negli altri le proprie emozioni, scoprire se stessi. Occorre recuperare questo aspetto che fornisce all’esperienza scolastica la giusta connotazione e la vera funzione. La scuola come mezzo per il riscatto sociale, la pedagogia a sostegno di una ripresa sociale.

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