Scuola, lockdown ed educazione al sapere

Il periodo che abbiamo vissuto a causa del Covid-19, e che ancora ci condiziona, ha determinato un periodo lungo di interruzione della frequenza scolastica in presenza costringendo milioni di studenti, bambini e adolescenti, a rimanere chiusi tra le mura domestiche e a sopperire l’assenza della scuola con la didattica a distanza. Tale situazione di lockdown ha comportato che il dibattito sulla scuola diventasse prepotentemente centrale costringendo ognuno di noi a domandarsi che ruolo dovesse assumere l’istruzione nella vita dei nostri figli e nel futuro dell’intero paese. Ciò ha comportato anche l’interrogarsi sui limiti strutturali dell’istituzione stessa. Ma è proprio nell’assenza della scuola in presenza che si è reso manifesto il suo significato più profondo.

Ciò che maggiormente si è evidenziato è il ruolo importantissimo delle relazioni interpersonali come motore di apprendimento: la relazione con il docente quale promotore di insegnamenti; la relazione con i compagni di classe come espressione della socialità e della conoscenza; la relazione scuola-famiglia per il rafforzamento dell’esperienza di apprendimento scolastico degli alunni. 
L’esperienza forzata di didattica a distanza ha messo in luce un aspetto fondamentale: senza incontro non può esserci apprendimento o quanto meno non può esserci quel tipo specifico di apprendimento che solo la relazione e l’interazione con l’altro può generare. Le parole, gli sguardi, il contatto fisico, tanto spesso dati per scontati, in questo periodo di assenza, hanno esplicitato tutta la loro importanza e imprescindibilità.
L’esperienza di didattica a distanza ha riportato al centro l’importanza della lezione come esperienza collettiva, gruppale, capace di coinvolgere in maniera attiva docente e discenti, andando al di là anche della trasmissione del sapere. 
All’interno di questa dimensione, gli aspetti emotivi, sociali e affettivi hanno svolto un ruolo determinante nel suscitare il desiderio ad imparare.

Quanto emerge da mesi di DAD è che gli ambienti di vita dei bambini e dei ragazzi, l’attenzione riservata loro dagli adulti, le loro capacità di attenzione, sono emerse e si sono rese tangibili attraverso lo schermo che le proiettava. Questi dati hanno fatto sì che la comunità scolastica prendesse diverse posizioni: da una parte, gli istituti scolastici o i singoli docenti si sono sentiti investiti dal compito di ampliare il proprio ruolo interessandosi a quanto avveniva all’interno delle famiglie e facendosi talvolta carico di bisogni primari dei propri alunni, in modo da garantir loro un livello minimo di benessere; dall’altra, le scuole e i singoli insegnanti che non hanno ritenuto di dover modificare il proprio agire, mantenendo un atteggiamento di rigidità e scarsa apertura, nonché empatia, si sono disinteressati della questione demandando alle famiglie e alle associazioni di genitori di farsi carico di questo compito.
Lo studio a distanza ha altresì comportato che gli insegnanti individuassero i nuclei fondanti delle varie discipline al fine di creare le giuste connessioni tra saperi e conoscenze tra di loro legate. 
Ridare alle discipline il loro vero ruolo, il loro giusto compito, significa consegnare agli alunni gli strumenti necessari per potersi muovere nel loro quotidiano sfruttando al meglio le proprie competenze acquisendone anche di nuove. La scommessa da vincere non riguarda il programma didattico da portare avanti quanto appassionare i bambini e i ragazzi al sapere e alla conoscenza.
La necessità è quella di creare un ponte tra scuola e famiglia. Per i docenti, entrare in contatto con “le cose di casa”, attraverso il monitor di un computer, significa essere introdotti a fatti a volte curiosi e a spiegazioni di fenomeni complessi e articolati. Oltre che durante il lockdown, anche nella scuola in presenza, gli oggetti presenti nelle case, gli oggetti della vita quotidiana degli alunni, i più personali, dovrebbero essere valorizzati come mediatori simbolici capaci di produrre ulteriore esperienze di conoscenza. 
Gli oggetti di casa, in tal senso, assurgono al ruolo di strumenti conoscitivi tramite cui gli alunni possono modellizzare la realtà partendo da materiale non didattico utilizzato per gioco. Tali strumenti permettono la realizzazione di quel ponte che collega scuola e famiglia, fondamentale durante il lockdown, ma altrettanto necessario al momento del ritorno in classe.
Anche il Miur è d’accordo nel sottolineare l’importanza dell’esperienza che bambini e ragazzi sperimentano nel quotidiano quale punto di partenza per strutturare nuove abilità e conoscenze spendibili in ambiti diversificati da quello domestico.
È importante porre tutti gli alunni nelle condizioni di raggiungere un buon livello di autonomia cognitiva passando da una scuola uniforme, uniformata e uguale per tutti a una scuola “personalizzata”, che riconosca peculiarità, capacità e propensioni individuali. Alla scuola spetta il compito puramente pedagogico di porre l’alunno al centro del processo d’apprendimento, valorizzandone l’intelligenza operativa attraverso attività ludiche e laboratori, impegnandolo in percorsi di scoperta sotto la guida dell’insegnante. 
Trascorrere più tempo a casa, con le famiglie, ha fatto si che bambini e ragazzi sperimentassero cose nuove come cucinare, imparare a suonare uno strumento, approfondire temi legati alla propria famiglia di origine, a entrare in contatto con la natura. Ognuna di queste esperienze intime è un bagaglio culturale che può afferire a più discipline scolastiche. Una volta rientrati a scuola l’obiettivo sarà valorizzare e integrare questi saperi informali, anche da una prospettiva valutativa; si tratterà di dover adottare uno sguardo interculturale che riconosca abilità differenti rispetto a quelle solitamente veicolate dalla scuola e che ne sottolinei il potenziale in termini di crescita cognitiva e culturale. 
Il processo in atto deve prevedere un cambio di rotta: non più una scuola che misuri il sapere in termini di produttività e oggettività, bensì una scuola indirizzata a valorizzare le peculiarità di ogni singolo studente, una scuola che coltivi umanità e l’umanità, che formi personalità libere, indipendenti, aperte, una scuola che favorisca il dialogo tra idee, conoscenze e stili di vita differenti. Le singole esperienze diverranno, in quest’ottica, trampolini per immergersi in nuovi saperi, nuove forme di insegnamento, il tutto in un’ottica di lifewide learning consapevole.
Se la scuola non si allontana dalla condizione di proporre un “sapere preconfezionato”, che altro non fa che spegnere la passione della conoscenza in ogni alunno, a favore di una metodologia che tenga conto della necessità, per bambini e ragazzi, di agire, creare, giocare, inventare, questi ultimi non potranno mettere in gioco il proprio bagaglio personale e scoprire, nell’interazione con i compagni, nuove forme di sapere.
Il rientro alla normalità non dovrà comportare un ritorno a forme di apprendimento basate su ripetizione, autorità e passività perché solo una scuola che sappia curare con attenzione questa molteplicità di relazioni potrà essere una scuola all’altezza dei bambini e dei ragazzi.

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